di Tiziana Frittelli
Dobbiamo guardare all’Ospedale non solo nella prospettiva della realizzazione di nuove strutture, ma di quella, assai più frequente, d’interventi di riqualificazione e riadattamento dell’esistente, che, certamente, data la rilevante entità, non possono essere sostenuti con spese in conto corrente. In via immediata, appare improcrastinabile una rivisitazione delle procedure relative ai finanziamenti di cui all’articolo 20 della legge 67/1988, per liberare rapidamente risorse
Semplificare le procedure per l’utilizzo delle risorse per ammodernare il patrimonio ospedaliero è una esigenza fondamentale perché gli ospedali siano luoghi sicuri.
Quanto accaduto all’Ospedale San Giovanni Evangelista di Tivoli ci induce ad aprire una riflessione a tutto campo sul tema della sicurezza delle nostre strutture ospedaliere, dell’obsolescenza di molte di esse e della progressiva diminuzione della loro efficienza che, nel tempo, finisce per richiedere notevoli interventi di miglioramento, ed anche sulla non più tollerabile complessità delle procedure di autorizzazione.
Oggi il Servizio Sanitario Nazionale, dopo la grande bolla del Covid, si trova ad affrontare la grande sfida del PNRR in un contesto, peraltro, divenuto fortemente critico sotto il profilo dei finanziamenti, poiché i forti rincari indotti dalla crisi energetica rischiano di far saltare tutti i quadri economici già presentati, tanto che il Governo ha dovuto proporre all’Unione Europea una riduzione degli interventi strutturali già finanziati, in quanto i fondi sarebbero stati incapienti.
A questo si aggiunga che, laddove occorra ricorrere ai fondi dell’articolo 20 della L. 67/88, per sopperire alla carenza di risorse, la complessità si moltiplica, in quanto si tratta di applicare regole diverse per gli stessi lavori, con procedure, rendicontazioni e tempistiche molto diverse tra loro, lunghe, farraginose e non adeguate alla necessità di completare quegli interventi che, comunque, si affiancano agli interventi del PNRR e che, per esempio, possono essere utilizzate per l’applicazione della normativa antincendio.
La staticità delle norme è chiaramente un freno per il futuro in un momento storico in cui è necessario essere mobili, flessibili, adattabili, efficaci ed efficienti anche al livello normativo e non anacronisticamente rigidi.
Pensiamo che solo pochi giorni fa l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, nella sua memoria inviata alle Commissioni sullo stato di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, segnala come la mission 6 ancora fatichi a utilizzare le risorse stanziate.
Sappiamo che la vita media di moltissime strutture, circa 6 su 10, è di oltre cinquant’anni e in molti casi, si registra l’inadeguatezza anche solo ad ospitare le nuove tecnologie e rifunzionalizzare determinate aree sanitarie. Senza contare che immobili pubblici, come gli ospedali, dopo 50 anni dalla loro costruzione, sono sottoposti “ope legis” al vincolo del patrimonio storico, con evidenti ulteriori prolungamenti e ostacoli ad un veloce iter autorizzativo.
Per vincere la sfida della nuova sanità integrata tra ospedale e territorio abbiamo bisogno innanzitutto di ripensare spazi per rinnovare, quindi, procedure e metodi di lavoro, pensando a modelli strutturali innovativi e lontani da vincoli che ostacolano la corretta evoluzione degli edifici sanitari. Gli ospedali devono essere pensati come organismi dinamici, in continua evoluzione. Non possiamo immaginarli come entità statiche e immutabili, perché vivono l’esigenza di essere trasformati per rispondere a nuovi bisogni di salute.
Da qui l’urgenza di orientare le nuove progettualità, che si stanno mettendo in campo, per realizzare infrastrutture in grado di adattarsi a nuove necessità, così da accogliere usi sempre diversi col passare del tempo. La stessa presenza di nuove tecnologie implica l’aggiornamento delle reti elettriche e di condizionamento e non certamente condizionate da vincoli addirittura di carattere storico che ne limitano l’adattabilità.
Dobbiamo guardare all’Ospedale non solo nella prospettiva della realizzazione di nuove strutture, ma di quella, assai più frequente, d’interventi di riqualificazione e riadattamento dell’esistente, che, certamente, data la rilevante entità, non possono essere sostenuti con spese in conto corrente.
Oltre ai problemi di finanziamento, si pone il problema delle professionalità tecniche da mettere in campo, non solo difficili da reperire ma, ancor più, da formare in tempi rapidi su procedure di elevata complessità.
In via immediata, appare improcrastinabile una rivisitazione delle procedure relative ai finanziamenti di cui all’articolo 20 della legge 67/1988, per liberare rapidamente risorse che le Regioni, e quindi le Aziende, possano utilizzare in maniera agevole.
Appare incomprensibile come, a fronte di risorse presenti nel bilancio dello Stato, e allo stato di pericolo in cui versano molto ospedali e strutture sanitarie, si ricorra ancora a procedure vecchie di oltre un trentennio.
In secondo luogo, è necessario omogeneizzare le procedure di finanziamento rivolte ad uno stesso lavoro (finanziamenti PNRR. PNC, art. 20), al fine di rendere più agevole il lavoro degli uffici tecnici regionali e aziendali.
Infine, è necessario implementare gli Uffici tecnici regionali e aziendali, al fine di renderli idonei ad intervenire in una situazione di grandi sfide come quella del PNRR e del PNC, anche perché gli Uffici tecnici sono usciti stremati dal periodo Covid, durante il quale sono stati essenziali nella creazione dei percorsi differenziati.
Problema a sé riveste la tematica antincendio, le cui date di scadenza sono state prorogate durante il periodo Covid e che, almeno per le strutture destinate alle aree ambulatoriali, sono in scadenza a dicembre 2023, senza che la maggior parte delle Aziende abbia avuto accesso ai finanziamenti necessari per la realizzazione delle opere strutturali.
In queste condizioni, assicurare la sicurezza delle strutture rischia di apparire davvero impossibile.
Tiziana Frittelli
Presidente Federsanità