La domanda che regolarmente si propone nel corso di una procedura per responsabilità sanitaria all’Azienda coinvolta, è sempre la stessa: possiamo transigere?
E la risposta dell’ente è sempre la sessa: vorrei, ma non posso! Devo aspettare la sentenza.
Su questi temi si svolgerà il prossimo 28 ottobre a Roma presso la Sala Folchi dell’Azienda Ospedaliera San Giovanni Addolorata l’evento formativo dal titolo “La transazione come strumento deflattivo utile alla pubblica amministrazione” organizzato in collaborazione con Federsanità.
Si tratta del tema più difficile da risolvere poiché anche nei casi in cui possa risultare evidente una responsabilità dell’Azienda Sanitaria, il timore (pericolo) di agire senza la certezza che la firma di una transazione prima della sentenza ovvero di un provvedimento almeno dichiarativo dell’A.G., porti ad una responsabilità erariale, blocca qualunque azione del Dirigente che deve firmare la delibera conciliativa.
Ecco che avere un “piccolo vademecum” pratico di come muoversi in quest’ambito, oggi sempre più in evoluzione, è essenziale; si badi: non si chiede al Giudice Contabile uno scudo giudiziario attraverso una sorta di protocollo sulle condotte (che ovviamente mai potrebbe essere dato), ma delle linee guida che almeno chiariscano i margini di movimento.
Non può essere che oggi, in assenza di una sentenza chiara di condanna, l’Azienda sia costretta ad aspettare a liquidare il danno, con aggravio di spese.
Ma nemmeno è plausibile che quando l’organo valutativo interno all’Azienda abbia chiara la responsabilità della struttura, non si proceda alla transazione in mediazione: la responsabilità è chiara, ma chiari sono anche i successivi costi delle procedure giudiziarie, che così non si evitano.
Nel corso di un giudizio ordinario, svolta la ctu che risulta negativa per l’ente sanitario convenuto, è proprio obbligatorio dover definire con sentenza il processo? Altre strade per “risparmiare” su costi ed aggravi di spesa (pubblica) certi, è possibile non possano essere valutati?
Le ipotesi reali e pratiche sono però tante.
Il timore è sempre lo stesso: senza sentenza di condanna non ci si muove. È il gioco perverso delle posizioni.
Avere delle indicazioni di massima (che non salvano dalle decisioni amministrative sbagliate) è necessario; del resto, Giudice Contabile – ma tutti i Giudici – e Azienda Sanitaria sono rappresentanti della stessa parte pubblica pur nel rispetto primario dell’esercizio di azione di danno del cittadino e del principio di terzietà; ma ugualmente deve essere comune l’intento di non aggravare la spesa pubblica.
Anche il Dirigente sanitario deve fare però la propria parte; come più volte evidenziato dalla giurisprudenza in materia, il Dirigente ricopre oneri ed onori; ed a questi si deve attenere ed essere quindi capace di decidere senza il timore assoluto di una rivalsa contabile.
Quindi: può il Dirigente transigere una vertenza prima della sentenza di condanna? Quali sono gli elementi che certamente deve valutare per procedere in “risparmio di spesa”?
Il Seminario del 28 ottobre prossimo ha questa matrice “pratica”; i relatori ricoprono tutte le funzioni giudiziarie che possono interessare un caso di presunta o vera malasanità.
In linea di massima una vicenda per responsabilità sanitaria ha almeno in astratto sempre una radice penale, a prescindere se ci sia o meno l’apertura di un fascicolo: sempre di lesioni variamente intese e più o meno gravi, si tratta.
Allora il Giudice penale potrà illustrare le ipotesi di abuso di ufficio ovvero di omissione di atti di ufficio del responsabile amministrativo che firma male o non firma; il Giudice civile, la casistica sempre più evoluta per intervenire praticamente nella risoluzione della controversia con il Cittadino; il Giudice Contabile definirà i criteri amministrativi cui riportarsi per una corretta valutazione dei provvedimenti dirigenziali che possono essere presi, criteri che si ripete, non salvano dall’errore o dall’incompetenza.
La competenza diventa quindi fulcro della responsabilità amministrativa. Ma già deve esserlo. Sempre.
Il Dirigente “competente” non sbaglia per colpa grave. Valuta diversamente secondo la sua competenza per ruolo. Ed il Giudice ne deve tenere conto.