Intelligenza emotiva valore aggiunto di una manager donna

Federsanità

Di Tiziana Frittelli Presidente Nazionale Federsanità

Ormai non è una novità, il mondo della sanità italiana ha sempre di più una marcata componente femminile. In base agli ultimi dati disponibili del Conto annuale del Ministero dell’Economia e delle Finanze, nel Sistema Sanitario Nazionale lavorano complessivamente circa 13 milioni di persone, di cui poco più del 63% è rappresentato da donne. Una presenza, quella femminile, che varia a seconda dell’inquadramento e della categoria professionale. Eppure solo il 16,7% occupa un posto nella direzione generale secondo il rapporto dell’Osservatorio sulle aziende e sul sistema sanitario italiano – OASI: questo significa quanto sia difficile, per le professioniste in questo campo, raggiungere posizioni di rilievo all’interno delle realtà di settore.

Il rapporto tra leadership femminile e sanità è dunque particolarmente complesso, in Italia come nel resto del mondo. Si tratta di un nodo importante da sciogliere tantoché la parità di genere nei diversi ambiti lavorativi, e non solo, è uno degli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile dell’ONU, programma redatto nel 2015 dai governi dei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite per delineare la strada verso un mondo più equo.

Accanto alla lettura dei dati bisogna, però,contestualmente avviare una riflessione. Abbiamo davanti, infatti, una grande trasformazione dei bisogni, delle pratiche e dei comportamenti, che richiede una riprogettazione del Ssn, delle sue strutture a rete sul territorio, dei suoi processi e strumenti. La crisi pandemica ha accelerato questo processo. Non a caso si parla sempre più di Just transition nel quadro delle politiche di coesione, in cui il welfare non può non avere un ruolo centrale. Se così è, abbiamo bisogno di condividere una nuova visione del mondo, armonica ed equilibrata dell’economia, della politica e della società.

Ecco perché gestire un’organizzazione complessa come la sanità implica, oggi, non solo la necessità di conoscenze tecniche elevate di tipo gestionali, economiche, normative, sanitarie, ma anche di una forma di “intelligenza emotiva” che affianchi quella “strategica”. 

Nella prospettiva del “care”, le donne hanno un ruolo da protagoniste, non per natura, ma perché è l’eredità socio-storica della civiltà a volerlo. Riuscire a coniugare erogazione dei livelli essenziali di assistenza, sostenibilità economica e organizzativa, accountability verso i vari stakeholders, sostegno alle risorse umane, spesso stressate da ritmi lavorativi elevatissimi, e sotto giudizio continuo di un’utenza sempre più attenta, richiede uno skillprofessionale che aggreghi competenze multidisciplinari, certamente le stesse per un uomo e per una donna, ma che registra un valore aggiunto nella capacità di riconoscere e di identificare nel modo appropriato e, conseguentemente, di gestire le emozioni dei propri interlocutori allo scopo di raggiungere determinati obiettivi, appunto l’“intelligenza emotiva”.

In altri termini si tratta del coraggio di fare quello che è giusto, la pazienza di creare un progetto nel quale tutti si riconoscano, e soprattutto una grande passione. E siccome sono convinta che tutte le organizzazioni abbiano un cuore pulsante fortemente condizionato dallo stile del manager, è possibile che un manager donna adotti stili di direzione diversi da quelli di un uomo, pur utilizzando identico corredo professionale. 

La strada da percorrere è, quindi, quella della valorizzazione dei talenti e delle competenze delle tante professioniste che lavorano nel campo della sanità. Gli interventi normativi che in passato sono stati attuati – come l’introduzione, nel 2011, della legge Golfo-Mosca sull’inserimento delle quote di genere nei consigli di amministrazione di società a partecipazione pubblica che in sei anni ha fatto salire le quote rosa dal 6% al 36% – certamente possono contribuire a colmare il divario in termini di numeri, ma difficile è colmare la disparità in termini di opportunità e valorizzazione. 

Se il paradigma che dobbiamo attuare è quello OneHealth, quindi della salute come mainstreamingallora, in quanto donne, possiamo rappresentare la differenza nei luoghi dove le decisioni vengono assunte e sulla possibilità che queste possano avere un impatto di efficacia sulla collettività. Non è per nulla una rivendicazione della parità di genere, anzi! Si tratta di valorizzare ed evidenziare come la capacità di fare rete, quella di ascoltare e confrontarsi possa contribuire a portare gli obiettivi a meta, soprattutto in un contesto di innovazione come quello dei progetti e delle riforme previste dal Pnrr.