Responsabilità professionale. L’articolo 15 della legge Gelli sotto la lente di Consulta e Cassazione

Federsanità

Due sentenze, della Suprema Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale possono essere lette in un’ottica di convergenza finalistica. La prima chiarisce che l’espressione “affida”, rivolta all’autorità giudiziaria, non ha carattere descrittivo ma indica invece un preciso obbligo “dalla cui violazione possa farsi discendere la nullità della consulenza”. La seconda rimuove gli ostacoli affinchè i professionisti non si sottraggano all’Ufficio di consulente o di perito del giudice in ragione della previsione di un onorario inferiore a quello adeguato

La Legge 24 del 2017, dopo avere disposto in ordine alla sicurezza delle cure e alla gestione del rischio sanitario, ai profili di responsabilità penale e civile degli esercenti le professioni sanitarie ed agli obblighi assicurativi di questi ultimi e delle Aziende Sanitarie pubbliche e private, all’articolo 15 detta norme speciali circa l’affidamento della consulenza tecnica e della perizia da parte dell’Autorità giudiziaria, limitando l’applicazione del novum legislativo ai procedimenti civili e penali aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria.

Da tempo i medici e le Società Scientifiche reclamavano maggiore attenzione da parte dei magistrati nella scelta dei consulenti e dei periti, segnalando che troppo spesso, a causa di insufficienze metodologiche o di scarsa conoscenza delle discipline oggetto di esame, si creava un intollerabile divario tra verità scientifica e verità processuale.

In relazione a ciò, il legislatore del ’17, limitatamente alle controversie sanitarie, ha disposto che “l’autorità giudiziaria affida l’espletamento della consulenza tecnica e della perizia ad un medico specializzato in medicina legale e a uno o più specialisti nella disciplina che abbiano specifiche e pratica conoscenza di quanto oggetto nel procedimento”. Conformemente al legislatore, il Consiglio Superiore della Magistratura, il 25 ottobre 2017, attraverso una raccomandazione della VII Commissione, ha ritenuto “opportuno un nuovo intervento in ordine ai conferimenti degli incarichi da parte dell’autorità giudiziaria sia nel settore penale, sia in quello civile, a tutti gli ausiliari da designare nell’ambito dei procedimenti avente ad oggetto specificamente la responsabilità sanitaria”. L’intervento del CSM si rendeva necessario – a soli sei mesi dall’entrata in vigore della legge 24/2017 – essendo immediatamente emersa una sorta di “ritrosia” da parte dell’autorità giudiziaria ad applicare l’innovazione di cui al I comma dell’art. 15.

In buona sostanza, le consulenze e le perizie continuavano, in larga parte, ad essere affidate ad un unico professionista, in evidente inosservanza (e in alcuni casi, in patente dispregio) del divieto di consulenza o perizia monocratica.

La VII sezione del CSM, quasi con tono monitorio, ricordava e ribadiva che “le nuove disposizioni prevedono che in tutti i procedimenti sia penali che civili avente ad oggetto la responsabilità sanitaria, in caso di conferimento di incarico peritale, vi sia un necessario affiancamento di almeno due professionalità”; precisava inoltre il CSM che, in siffatte circostanze, si dovrà procedere alla nomina di un collegio composto da un medico legale ed almeno uno specialista nella materia oggetto di controversia.

Orbene, anche il monito del Consiglio Superiore della Magistratura non è valso ad uniformare i criteri di affidamento degli incarichi peritali secondo le modalità imposte dall’articolo 15.

Non pochi magistrati, come detto, hanno continuato a nominare un consulente o un perito, alcuni ipotizzando l’inefficacia della norma in quanto difetterebbe di un momento sanzionatorio e, più precisamente, non prevedendosi la nullità della perizia o della consulenza non eseguita e redatta in forma monocratica.

Sulla questione è recentemente intervenuta la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza numero 12593 del 12 maggio 2021 (III Sez. Civ., Presidente G. Travaglino; Relatore D. Sestini) fornendo l’interpretazione del I comma dell’articolo 15.

Disponendo la sentenza su fatti anteriori al 2017, la Suprema Corte formula una indicazione incidentale ma estremamente precisa.
La Sentenza sancisce “l’obbligatorietà della perizia o consulenza collegiale nei giudizi di responsabilità sanitaria”, subito allegando, con risolutezza, l’espressione “alla quale il giudice non può derogare”.

La Corte di Cassazione interpreta, quindi, come obbligo inderogabile l’affidamento dell’espletamento dell’attività consulenziale, in ambito sanitario, ad un collegio; obbligo che risulta conforme alla ratio ed alla lettera non solo del I ma anche del IV comma dell’articolo 15 laddove si ribadisce che nei procedimenti civili e penali aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria “l’incarico è conferito al collegio”.

Orbene pare, a questo punto, essersi costituito un perfetto allineamento tra la manifesta volontà del legislatore, le raccomandazione del Consiglio Superiore della Magistratura e l’interpretazione giurisprudenziale.

Sarà ciò sufficiente ad uniformare le condotte di affidamento degli incarichi in tutte le Procure e Tribunali di Italia? Potremmo essere finalmente ottimisti, segnatamente in relazione ad un altro passo della sentenza ove si afferma che il dovere di affidare incarichi in forma collegiale (dovere al quale il giudice non può derogare) costituisce “un obbligo dalla cui violazione possa farsi discendere la nullità della consulenza”.

A soli otto giorni dalla pubblicazione dell’indicata sentenza della Corte di Cassazione, sull’articolo 15 della legge 24/2017 è intervenuta la Corte Costituzionale, con sentenza n. 102/2021 (Presidente G. Coraggio, Relatore M.R. San Giorgio). La Corte Costituzionale ha dichiarato “intrinsecamente e manifestatamene irragionevole” il IV comma dell’articolo 15 nella parte in cui disponeva che “nella determinazione del compenso globale [spettante al collegio peritale o consulenziale, ndr], non si applica l’aumento del 40 per cento per ciascuno dei componenti del collegio previsto dall’art. 53 del testo unico … del 30 maggio 2002, n. 115”.

Tale divieto, che era stato posto con l’evidente finalità di limitare l’aggravio di costi derivante della imposizione/estensione della forma collegiale a tutte le perizie e consulenze aventi ad oggetto ipotesi di responsabilità sanitaria, non ha retto al vaglio costituzionale, risultando non solo non conforme al principio di uguaglianza (traducendosi in una disparità di trattamento tra i collegi nominati in controversie di natura non sanitaria (ai quali continua ad applicare la maggiorazione dell’onorario in misura del 40 per cento per ciascun componente) e quelli nominati in controversie sanitarie, per i quali la norma disponeva la non applicabilità dell’aumento), ma in contrasto con la ratio stessa della norma che intendeva introdurre nel processo maggiori e più qualificate professionalità.

La questione di legittimità costituzionale venne sollevata dal Tribunale di Verona che, affrontando la tematica, ebbe a ritenere il divieto di aumento dell’onorario dei collegi sanitari causa di disparità di trattamento con altri diversi collegi tecnici per i quali il divieto non agisce. La Corte Costituzionale, accogliendo la prospettazione del Tribunale di Verona, ha inoltre evidenziato come il divieto previsto dal IV comma sia in contrasto con l’impianto normativo di tutto l’articolo 15, rilevando che “tra le ricadute “di sistema” della disposizione denunciata, tra l’altro, considerata la possibilità che essa favorisca l’allontanamento dal circuito dei consulenti tecnici di ufficio e periti da parte dei professionisti dotati di maggiore esperienza e specializzazione, disencentivati dalla preordinata incongruenza degli onorari spettanti rispetto alla qualità e quantità dell’impegno richiesto”.

Le due sentenze, della Suprema Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale possono essere lette in un’ottica di convergenza finalistica, contribuendo entrambe a favorire l’applicazione e a dare effettività alle disposizioni dell’articolo 15.
La prima chiarisce che l’espressione “affida”, rivolta all’autorità giudiziaria, non ha carattere descrittivo ma indica invece un preciso obbligo “dalla cui violazione possa farsi discendere la nullità della consulenza”.

La seconda rimuove gli ostacoli affinchè professionisti dotati di accertate e validate capacità e di specifiche e pratiche conoscenze non si sottraggano all’Ufficio di consulente o di perito del giudice in ragione della previsione, ingiustificata e discriminante, di un onorario inferiore a quello adeguato.

Pasquale Giuseppe Macrì
Direttore UOC Medicina Legale AUSL Toscana Sud Est, Docente Medicina Legale Università di Siena

Esperto tecnico Federsanità Nazionale
Segretario Nazionale MeLCo (Medicina Legale Contemporanea)


Maurizio Hazan
Studio legale Taurini & Hazan
Referente Giuridico Federsanità Nazionale